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Art Dubai

Art Dubai

Posted by Alessia Locatelli – April 2, 2014 – Recensioni

Art Dubai ottava edizione: una realtà sociologica che vive d’interazione con l’occidente in una continua osmosi relazionale tra professionisti, business e turismo. La necessità di Dubai di aggiornare le sue figure professionali, di inserirsi come nodo strategico per i grandi mercati globali e la capacità di offrire un’esperienza unica nel lusso più sfrenato sono i maggiori cardini attraverso i quali si compie la relazione con il mondo occidentale.

Da qualche anno però, sollecitata forse dalla contingenza della crisi di capitale in occidente, l’attenzione verso la città degli Emirati si è posata anche in ambito artistico. Percepita come una palpabile occasione di visibilità e di apertura verso nuovi mercati – tra collezionismo e musei – le edizioni della Fiera stanno coinvolgendo sempre un maggior numero gallerie occidentali. I primi pionieri sono stati in assoluto gli americani, con New York ai posti di comando, seguiti dagli inglesi e dai francesi.

Quest’anno cinque gallerie italiane hanno deciso di partecipare, non tutte per la prima volta: la Galleria Continua, che già possiede una vocazione internazionale con le sue tre sedi nel mondo, la Galleria Franco Noero di Torino – con la presenza dei lavori di Lara Favaretto, già conosciuta negli emirati Arabi per aver esposto alla Biennale di Sharjah, Giacomo Guidi Arte Contemporanea – con una personale di Gianni Piacentino, la milanese Laura Bulian e la romana Marie-Laure Fleisch. La scelta degli italiani si è dimostrata di qualità e progettuale. Le gallerie del belpaese sono state tra le più singolari ad Art Dubai, poiché hanno proposto con serietà l’arte italiana senza cedere alla tentazione di ricercare ad hoc artisti il cui lavoro si snoda su caratteristiche dal gusto arabeggiante o sull’estetica dell’oro a profusione. Una coerenza che, raccontano i galleristi, ha ottenuto interesse e aperture verso nuovi contatti.

In generale la qualità che si respira è assolutamente rispettabile; le proposte coinvolgono spesso artisti di origine araba che lavorano in occidente, o occidentali la cui proposta si struttura sul segno e sullo studio della cultura e dei modelli di derivazione orientale. L’occhio languisce in arabeschi di scrittura, in delicate tracce di un’arte segnica che – da Shirin Neshat in poi – ha contribuito alla contaminazione occidente/oriente e anche tra differenti medium espressivi, dalla fotografia alle carte, passando per la scultura. Individuare questo processo richiede che da parte delle gallerie partecipanti si compia una vera e propria ricerca, soprattutto se desiderano tessere rapporti strutturati e vendere nei giorni di esposizione.

L’unica galleria il cui stand era pieno degli invidiatissimi “bollini rossi” è stata la londinese Rose Issa Projects. Il suo lavoro è da anni orientato verso la diffusione e la scoperta di esponenti dell’arte Araba – siano essi maestri o giovani promesse – ed artisti occidentali che ne studiano i valori e l’estetica, come Graham Day. Protagonista dal 2010 della fiera di Dubai, la gallerista ha stretto relazioni di stima e fiducia sia con i buyer sia con i collezionisti locali. Nel suo stand abbiamo potuto conoscere ed ammirare il lavoro di mosaico a specchio della novantenne Monir Shahroudy Farmanfarmian, definita la “Louise Bourgeois orientale” per biografia ed intensità del lavoro. Le opere più care però appartenevano a Ali Omar Ermes, maestro calligrafo, pittore e poeta nato a Tripoli nel 1945. Nei suoi oltre quarant’anni di carriera ha esposto e collaborato per realtà internazionali tra cui la Saatchi Gallery, il British, lo Smithsonian Museum di Washington DC e lo Ian Potter Museum a Melbourne. Un vero “pilastro” da collezionare. Alla tradizione Rose Issa Projects ha saputo inoltre coniugare la ricerca contemporanea. Nelle immagini fotografate, postprodotte e ridipinte di Nermine Hammam (Cairo, 1967), in quelle cucite di Farhad Ahrarnia (Iran, 1971) e nelle pitture ad acrilico di Ayman Baalbaki (Libano, 1975) è possibile cogliere un linguaggio nuovo, concretizzato attraverso l’uso della fotografia – come nei primi due autori – e nei soggetti, che si lega naturalmente e senza forzature alla tradizione, sia nelle scelte cromatiche che nelle suggestioni visive.

Dubai è una vetrina sul mondo. Un evento che unisce sotto un unico tetto buyers e galleristi internazionali, dall’India agli Stati Uniti passando per Europa e Corea, sia del Nord sia del Sud. Nel 2020 Dubai sarà la prossima tappa dell’EXPO e – a differenza nostra – si stanno preparando con grande anticipo. Per l’arte italiana, la partecipazione a questa fiera potrebbe essere l’occasione di un’apertura verso una “globalizzazione che funziona”.



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